Anorgasmia e stile di attaccamento

Come hanno dimostrato i ricercatori Muehlenhard e Shippee con uno studio condotto nel 2010, raggiungere l’orgasmo per noi donne non è affare semplice: circa il 90% delle partecipanti allo studio ha infatti affermato di non raggiungere l’amplesso regolarmente durante il rapporto sessuale ed il 10% di loro ha dichiarato di non averlo mai sperimentato. A questi dati si aggiunge un terzo elemento rilevante: il 70% delle donne ha affermato di simulare con regolarità il raggiungimento dell’orgasmo.

Alla luce di tali considerazioni, sorge spontanea una domanda: se il rapporto sessuale si configura come un’occasione utile alla sperimentazione di sensazioni fisiche e psichiche gradevoli, per quale motivo noi donne non solo ci accontentiamo di non provarle ma addirittura siamo disposte a fingere che ciò stia accadendo? I ricercatori Lang e Mesko dell’Università Westside Behavioral Health di Westlake (Ohio) hanno cercato di rispondere a questa domanda, analizzando la relazione tra lo stile di attaccamento della persona e la sua predisposizione/tendenza a simulare l’orgasmo. Per stile di attaccamento si intende un sistema di atteggiamenti, pensieri, aspettative e comportamenti che regola la relazione tra due persone, ad esempio il rapporto tra il bambino ed il suo caregiver (figura di attaccamento primaria, tipicamente la madre). Tale sistema si struttura durante la primissima infanzia e, pur potendo essere modificato a seguito di esperienze di vita particolarmente salienti sia in positivo che in negativo (lutti, traumi, psicoterapia, maternità etc…) tende a mantenersi stabile durante tutta l’età adulta.

I ricercatori che per primi si sono occupati di studiare tale sistema di attaccamento sono stati John Bowlby e Mary Ainsworth che, attraverso l’osservazione del comportamento del bambino in momenti di separazione e di ricongiungimento con la madre nell’ambito di un setting strutturato, hanno individuato 4 diversi stili di attaccamento:

  • Attaccamento sicuro: il bambino sente di poter contare sulla sua figura di riferimento, perché questa è coerente, concreta e sensibile. È un bambino curioso, fiducioso e sicuro, ha una buona visione di sé e crede che i propri bisogni possano essere soddisfatti. Da adulto sarà un partner sicuro ed avrà, generalmente, una visione positiva degli altri.
  • Attaccamento evitante: il bambino sente che la sua figura di riferimento è fredda e distante e non incoraggia la sua emotività. È un bambino mediamente esplorativo ma emotivamente distante, che non chiede molto e non piange quasi mai. Nutre la convinzione che i propri bisogni non possano essere soddisfatti e perciò tende a negarli. Da adulto sarà molto indipendente e proverà disagio ad entrare in un’intimità autentica con il partner.
  • Attaccamento ambivalente: il bambino sente che la sua figura di riferimento è incoerente, mostrandosi a volte sensibile ed altre invece negligente. È un bambino ansioso, insicuro ed arrabbiato, che tende a piangere quando viene lasciato solo, vivendo i propri bisogni come impossibili da soddisfare. Da adulto sarà un partner insicuro, geloso ed invischiato, animato dalla paura di perdere il proprio compagno/a.
  • Attaccamento disorganizzato: il bambino sente che la sua figura di riferimento è allo stesso tempo spaventata e spaventante. È un bambino passivo, poco reattivo, preoccupato ed arrabbiato, confuso circa la percezione dei propri bisogni. Da adulto avrà difficoltà nella gestione delle relazioni affettive e tenderà a vivere rapporti violenti e distruttivi, desiderando da un lato una forte vicinanza con il partner e dall’altro rifiutandola.

Lo studio di Lang e Mesko, confermando quanto già riscontrato anche da Shaver e Mikulincer nel 2012 e da Dunkley nel 2016, mostra come la tipologia di attaccamento di ciascun individuo influenzi sia la modalità con cui questi vive la relazione sessuale, sia la sua predisposizione alla finzione dell’orgasmo. Le persone con un attaccamento di tipo sicuro vivono tendenzialmente la sessualità in modo sereno, nella cornice di relazioni sentimentali stabili entro cui sperimentano intimità, appagamento e gratificazione reciproca. Queste persone inoltre non mostrano una tendenza a simulare l’orgasmo in quanto sono consapevoli del proprio corpo e nutrono fiducia nella possibilità di vivere con soddisfazione il rapporto sessuale con il partner. Questo non si verifica così frequentemente in persone con tipi di attaccamento diverso. Chi ha un attaccamento evitante prova disagio nell’entrare in una dimensione di intimità profonda con il partner e tende dunque ad evitare che ciò si verifichi.

Per questo motivo tali persone, pur all’interno di relazioni stabili, preferiscono evitare rapporti sessuali frequenti e quando si concedono al partner lo fanno principalmente in risposta ad una sua pressione o con lo scopo di confermare la propria autostima. Al contrario, chi ha un attaccamento ambivalente vive fantasie d'amore idealizzate e vede il rapporto sessuale come un’occasione per sentirsi amato e desiderato, nutrendo la convinzione che il concedersi sessualmente al partner scongiuri l’eventualità che questi lo abbandoni. Entrambi questi tipi di attaccamento, diversamente dall’attaccamento di tipo sicuro, si associano ad un’elevata tendenza da parte della persona a simulare l’orgasmo, tendenza connessa al tentativo di gestire i vissuti negativi di ansia e vergogna che derivano dall’esperienza sessuale.

Le motivazioni che stanno alla base della stessa finzione sono però diverse: mentre gli individui evitanti simulano l’orgasmo con il fine di far durare meno il rapporto sessuale e quindi di limitare la condizione di vicinanza emotiva con il partner, gli individui ambivalenti simulano l’orgasmo nella speranza che tale vicinanza emotiva aumenti, coinvolgendo maggiormente il partner. In particolare, chi ha un attaccamento ambivalente finge di provare piacere durante il rapporto sessuale sia per confermare le aspettative del compagno/a, rendendosi dunque più desiderabile e più degno di essere amato, sia per rendere l’esperienza sessuale il più possibile piacevole per il partner, sedando momentaneamente il proprio timore che questi, perché insoddisfatto, si distacchi attuando un abbandono.

In ogni caso, a prescindere dalla motivazione che induce questo atteggiamento e dal tipo di attaccamento, la finzione dell’orgasmo è un’abitudine disfunzionale che blocca in un terreno limitante sia chi la agisce, sia chi la subisce. Simulare un piacere non reale implica infatti una serie di conseguenze negative che riguardano tanto chi finge, quanto il partner: simulare significa innanzitutto mentire, a sé stessi ed al partner e mentire comporta la creazione di una frattura. Una frattura tra noi e noi stessi, ma al contempo anche una frattura tra noi e il nostro compagno/a, una frattura che, in ogni caso, si riempirà con grande probabilità di silenzi, di cose non dette, di solitudine e di frustrazione. Simulare l’orgasmo inoltre ci priva prova dell'opportunità di raggiungerlo veramente: fingendo, comunico al mio partner che tutto è andato bene e che sono soddisfatta, impedendogli dunque di comprendere che cosa non ha funzionato e come farlo funzionare. In aggiunta a ciò, se simulo un orgasmo potrò fingere con il mio partner di aver provato piacere, ma non potrò fingere con me stessa e mi sentirò probabilmente frustrata, sola, incompresa ed arrabbiata, emozioni che, se lasciate sedimentare troppo a lungo, non giovano né a noi né alla nostra relazione. Inoltre, fingere un orgasmo porta come conseguenza il negare a sé ed al partner la possibilità di conoscere meglio il nostro corpo, i nostri tempi, i nostri gusti e le nostre fantasie. Il dialogo, in tal senso, è fondamentale. Non è facile comunicare all'altra persona che non abbiamo raggiunto il piacere, ma le parole giuste possono aiutare. Piuttosto che dire "non mi hai fatta venire" (la responsabilità ricade unicamente sul partner), possiamo dire "non sono ancora venuta, ti va di aiutarmi?" (la responsabilità è condivisa e riguarda entrambi).

Parlare di ciò che ci piace è altrettanto importante, sia durante il rapporto, sia in momenti di intimità diversi: possiamo rinforzare un'attenzione ricevuta che ci ha particolarmente fatto piacere ("mi è piaciuto molto quando mi hai accarezzata lì/così/in quel momento....") oppure possiamo proporre qualcosa che pensiamo ci procurerebbe piacere ("sto pensando che mi piacerebbe molto se tu mi toccassi lì/così/in quel momento...."). Le prime volte, soprattutto se si tratta di un'abitudine a noi sconosciuta, potrebbe risultare difficile agire questo cambiamento, ma il tentativo è indubbiamente più funzionale rispetto al rimuginio negativo e solitario che fa seguito ad un rapporto sessuale inappagante. Se anche il dialogo dovesse risultare una strategia non efficacie e non sufficiente, un’altra possibilità è quella di proporre al nostro partner di condividere con noi un momento di auto-erotismo: il nostro compagno potrebbe non solo trovare questa proposta molto interessante, ma anche avere l’occasione di osservarci mentre raggiungiamo l'orgasmo, condividendo con noi un momento di piacere ed osservando quali gesti e quali attenzioni ci consentono di provare piacere.

Esistono inoltre numerosi interventi che è possibile attuare per sbloccare situazioni in cui l’orgasmo sembra impossibile da raggiungere: a partire dalle tecniche di rilassamento (training autogeno, mindfulness, visualizzazioni guidate, rilassamento muscolare e progressivo), ad interventi di educazione sessuale, ad un percorso di psicoterapia individuale o di coppia. Ciò che è importante è individuare la motivazione alla base della difficoltà nel raggiungere l’orgasmo: potrebbe trattarsi di fattori situazionali e temporanei (es: momenti di particolare ansia o stress), di fattori relazionali (es: comunicazione disfunzionale nella coppia), di fattori individuali (es: educazione sessuofobica, ansia da prestazione, visione negativa di sé stessi e della sessualità), di fattori fisiologici (es: disfunzionalità del pavimento pelvico, ipostimolazione clitoridea) o di fattori iatrogeni (es: interazione dovuta all’assunzione di farmaci). Una volta individuata la causa, o le concause, è possibile progettare un trattamento che aiuti la persona a superare questa difficoltà, alleviando il disagio connesso a tale condizione e promuovendo il benessere psicofisico.

L’importante è condividere questa problematica con un professionista (ginecologo, psicologo, medico) che abbia le competenze per contestualizzarla e definirla, individuando il percorso terapeutico migliore in base alle caratteristiche e agli elementi che descrivono l’unicità della persona portatrice di questo disagio.